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Calogero Jonathan Amato: “La democrazia burla di un partito azienda”

Redazione

Calogero Jonathan Amato: “La democrazia burla di un partito azienda”

Sab, 04/02/2017 - 10:16

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CALTANISSETTA – RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.

Amato: <<Ora il Movimento dia risposte nell’interesse suo e del Paese>>. L’analisi del giurista Calogero Jonathan Amato

Ricapitoliamo cosa è accaduto nelle settimane scorse  al M5s. Domenica 8 gennaio Beppe Grillo, con un post sul suo blog, chiede ai militanti (cioè agli iscritti alla piattaforma Rousseau) di votare per trasferire il gruppo parlamentare dei Cinque Stelle all’Europarlamento dal gruppo dell’Ukip a quello dell’Alde. È un cambio radicale di alleanze. Dal gruppo più antieuropeista, guidato da Nigel Farage che ha condotto la Gran Bretagna all’uscita dall’Unione, a quello più filoeuropeo, l’Alde, a cui erano affiliati Mario Monti e Romano Prodi.

Un’inversione di 180 gradi di cui i militanti non erano stati informati e sul quale hanno avuto poco più di 24 ore per votare: dalle 10 alle 19 di domenica e dalle 10 alle 12 di lunedì. Nel pomeriggio del’11 gennaio Grillo comunica che «hanno partecipato alla votazione 40.654 iscritti certificati» e che «ha votato per il passaggio all’Alde il 78,5% dei votanti», cioè 31.914 iscritti. Ma già in serata il capogruppo dell’Alde, Guy Verhofstadt, rinuncia all’alleanza con il M5S perché il movimento non offre «sufficienti garanzie di portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa». Poco dopo Grillo incolpa “l’establishment” e la tesi del complotto dei poteri forti è suffragata da altri leader del Movimento.

La sceneggiata recitata da Beppe Grillo ripropone in modo crudo il problema della cultura democratica del movimento e la burla della cosiddetta democrazia diretta, su cui si fonda la propaganda grillina. Nel Movimento 5 Stelle tutto è opaco. È opaco il ruolo di Davide Casaleggio, il leader che manovra il movimento sulla base dei sondaggi sfornati ogni giorno dalla Casaleggio & Associati. È opaco il software (chiamato pomposamente “sistema operativo”) che controlla il blog, i post degli iscritti, le votazioni: tanto opaco da rendere impossibile qualsiasi controllo sul numero reale dei militanti, dei votanti, dei risultati finali, della gestione complessiva del M5S.

Un manipolo di tecnici che nessuno conosce controlla un movimento che, stando ai sondaggi, oggi vale quasi il 30 per cento dei consensi. Davide Casaleggio è un leader che nessuno ha eletto e che – dietro le quinte – sovrintende ogni cosa per diritto di famiglia, in quanto figlio del fondatore, secondo le regole di una monarchia autoritaria. Nominato principe ereditario da Grillo, indica la strategia grazie ai sondaggi aziendali. Siamo dunque in presenza di un’azienda che dirige il movimento con lo stile del Pifferaio magico dei fratelli Grimm che , “irretendo al suon del piffero” i cittadini, li conduce in territori a lui graditi, impone le linee politiche sottoponendole a votazioni burla e comunica attraverso un comico come un ventriloquo attraverso un pupazzetto di stoffa.

Qui non sono in discussione le singole scelte politiche del Movimento. Su ciascuna di esse si può discutere, anche sulle più radicali. È legittimo (anche se sbagliato, a nostro parere) proporre l’uscita dall’euro e indicare Putin come interlocutore primario in politica estera. È anche lecito che Grillo cambi idea ogni giorno e persino che scelga candidati incompetenti a guidare le città, come è purtroppo nella Capitale. Ma crediamo che sia giunto il momento di lanciare una battaglia culturale per denunciare la truffa di un movimento che dice di voler imporre una democrazia diretta che non è né democratica né diretta, non è dotata di un minimo di trasparenza sulle decisioni da assumere e vaneggia a proposito di un mondo in cui “uno vale uno” e che è invece strutturato come un’oligarchia aziendale. Che addirittura fa a pezzi la Costituzione quando priva i suoi eletti della libertà dal vincolo di mandato (articolo 67) multandoli in base a contratti privati.

Sembra una specie di pozzo senza fondo la vicenda, ormai quasi una telenovela, che ruota attorno a Virginia Raggi e ai suoi quattro amici che più che al bar stavano in Campidoglio. Come sempre qui non si pronunciano sentenze a mezzo stampa, ma ci si limita a fare analisi politiche. E quelle sono abbastanza inquietanti.

Sempre più infatti c’è da chiedersi come mai in un movimento che si proclamava rigorista e puritano, diverso da tutte le forze politiche in campo, è riuscito ad entrare un gruppo di persone che evidentemente perseguiva una politica che era assolutamente quella di vecchio stampo che i grillini condannavano ad ogni occasione.

Per quel che risulta, non si tratta infatti della «deviazione» di qualche iscritto che, per dirla con vecchie parole, ha perso la fede per strada. Sembra si tratti piuttosto di un gruppetto che ha pianificato la conquista di posizioni intuendo che i pentastellati erano la forza destinata a vincere (e fin qui non ci voleva grande capacità di analisi) e sapendo che erano assolutamente permeabili e privi della capacità di contrastare quel tipo di piani. Perché la realtà è che a scoperchiare il pozzo dei vizi non è stata la capacità di controllo dei vertici del movimento, ma il combinarsi di inchieste giornalistiche e di interventi della magistratura inquirente.

Si potrebbe obiettare che qualche esponente del M5S qualche allarme aveva cercato di suscitarlo, ma era stato prontamente stroncato da un sistema in cui, spiace rilevarlo, il duce e i suoi ducetti devono sempre avere ragione. Ciò complica il quadro, perché non stiamo parlando di un partitino di relativa rilevanza, ma di una forza che sfiora il terzo dei consensi politici espressi.

Si deve certo tenere conto del fatto che stiamo parlando del Comune di Roma, cioè di una macchina usurata da lunghi periodi in cui l’etica pubblica (mettiamola pudicamente così) era andata più che affievolendosi. Di storie sulla corruzione romana, su un intreccio di favoritismi e su un degrado che aveva creato un dedalo di feudi in cui la stessa politica faceva fatica ad orientarsi a meno di non voler essere connivente, siamo stati tempestati per decenni, a volte con pubbliche denunce sui media, a volte più semplicemente dalla vox populi che risuonava alle orecchie di chiunque arrivasse a Roma. Erano cose non solo note, ma denunciate fra gli altri dagli stessi Cinque Stelle che si erano candidati a mettere le cose a posto.

Come è successo dunque che per quel compito che chiunque definiva arduo non abbiano approntato una squadra all’altezza, non si siano preparati in maniera adeguata, perché non ci voleva uno sforzo di immaginazione per prevedere che quel sistema degradato avrebbe fatto di tutto per difendersi?

Come è successo che in un movimento che si faceva e si fa vanto di chiedere ai suoi parlamentari di ridurre significativamente i loro emolumenti e di rendicontare tutto, non ci siano state difese contro l’infiltrazione di personaggi che avevano assai concreti obiettivi di arricchimento personale utilizzando per la carica più delicata della amministrazione romana una persona che nel migliore dei casi è una sprovveduta?

Si attendono risposte nell’interesse dello stesso Movimento e anche soprattutto del paese. Non saranno infatti i guai della Raggi a depotenziare significativamente M5S e dunque è interesse di tutti che quel movimento tragga da questa vicenda un insegnamento decisivo per capire che andare al governo è una vicenda seria, anzi molto, molto seria.

Calogero Jonathan Amato, Giurista