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Moni Ovadia, Il maestro svela il progetto: “Con Mario Incudine un ponte Enna Caltanissetta, verso una rete dei piccoli teatri”

Redazione

Moni Ovadia, Il maestro svela il progetto: “Con Mario Incudine un ponte Enna Caltanissetta, verso una rete dei piccoli teatri”

Mer, 18/05/2016 - 20:25

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foto di Danilo Riccobene

foto di Danilo Riccobene

CALTANISSETTA – (di Alberto Sardo – pubblicato sul mensile il Fatto Nisseno di aprile 2016) “La storiella ebraica ha elementi quasi metafisici, di rompere, smontare il presupposto di un’argomentazione”. Un detto che qui potrebbe funzionare? “E’ un motto che ho sentito citare da Leonardo Sciascia che raccoglieva i detti: Ccu tutto ca sugnu oiibbu a vìu nìura (Nonostante sia orbo, la vedo nera)”, ride, ridiamo. “Un’altra è  palestinese: Credevo che il pascià fosse un pascià e mi sono reso conto che il pascià è un fesso qualsiasi”.

Scritta così non rende uguale. La traduzione ci arriva dopo che Moni Ovadia ha pronunciato in arabo la frase, un detto palestinese, accentuando i suoni aspirati e gutturali che rendono così simili le sonorità dell’arabo al siciliano.

Davanti a un cappuccino, Moni Ovadia, direttore artistico del Teatro Margherita di Caltanissetta, a poche ore dal successo de “Le Suplici in prova”, assaggia in un bar del centro storico un biscotto nostrano, una “lingua di suocera”. Lui che è assoluto poliglotta e le lingue se le mangia per davvero a colazione. L’artista ebreo italiano, seguito, studiato, raccontato, assurto a principale esponente contemporaneo del teatro yiddish, nel suo continuo peregrinare mantiene un legame saldo con la Sicilia. Dopo aver aperto l’ ultima stagione del teatro greco di Siracusa, eccolo in piazza Garibaldi a Caltanissetta. Volgendo lo sguardo alla parte pedonalizzata di corso Umberto immagina un grande teatro estivo all’aperto, dove fare musica, danza arte e teatro.

“Crediamo che qui possa nascere un progetto forte e anche per questo non abbiamo chiesto un compenso per lavorare qui, né io né Mario Incudine”, racconta.

Il successo de “Le Supplici” al Teatro Margherita. Un sold out per la rappresentazione in prova (“i costumi erano gli scaldamuscoli”), in cui Ovadia forse per la prima volta ha incontrato il vero calore dei nisseni, dopo giorni di polemiche la cui eco si è fatta sentire anche a Teatro. Critiche che, prendendo la parola al termine della rappresentazione del 6 aprile al Margherita, l’artista ha definito meschine.

“Ho voluto fare un discorso per dire che l’Italia è uno strano Paese. Si viene per creare opportunità e dinamismo, mi sono voluto togliere un paio di sassolini, per qualcuno che approfitta di questi nefasti social media (se se ne fa l’uso che se ne fa), insultare e aggredire a priori”.  Ovadia al termine de “Le Supplici” aveva detto : “Questo spettacolo lo porteremo nel mondo, con il nome di Caltanissetta. State con noi, non è con le meschine critiche, con le invidie, che si fa il futuro”.

“A Caltanissetta ho trovato la disponibilità di un’amministrazione. Abbiamo un teatro che in sedicesimi è la Scala. Suona in maniera pazzesca, dodici metri di boccascena, 18 metri di profondità, golfo mistico, puoi fare anche l’Opera. Vogliamo parlare dell’altro teatro? il Rosso di San Secondo è un posto pazzesco, per musical e grandi concerti. In questa strada qui (si gira verso corso Umberto I, ndr.) si può fare tragedia all’aperto, è un piccolo teatro all’aperto. Il sindaco è disponibile, ho avuto affetto e disponibilità, e le tipiche difficoltà che si incontrano nelle cose che fai quando devi superare ostacoli. Questo è un paese strano, sui miliardi i controlli non ci sono, sui centesimi si”.

Non solo Le Supplici. “Alcuni spettacoli hanno avuto un’ottima accoglienza – tira le somme Ovadia – Marco Travaglio con Slurp! ha riempito il teatro, Adesso Odessa ha visto una grande attenzione del pubblico e Le Supplici sono state una piccola apoteosi”.

“Tenete conto che il Comune ha fatto il suo grande sforzo e bisogna darne atto al Sindaco, perchè sono tempi difficili. Però il nostro budget è di 80 mila euro iva inclusa, e noi abbiamo portato 13 spettacoli. Le Supplici sono una produzione e Il Casellante è una produzione vera. Abbiamo portato spettacoli ritengo di spessore e di interesse”. Il Casellante, da un racconto di Andrea Camilleri, andrà in scena il 29 giugno al Teatro Margherita e sarà uno degli spettacoli d’apertura del Festival di Spoleto.

DSC_0248Il progetto di Moni Ovadia e Mario Incudine, musicista, attore e cantautore ennese, direttore della stagione del teatro Garibaldi di Enna, è quello di fare un ponte Enna Caltanissetta, nell’ottica di creare una rete di teatri piccoli.

Anche questa è politica in una fase in cui gli investimenti sulla cultura sono al minimo.

“Si dovrebbero quadruplicare gli investimenti per la cultura subito. Se devi quadruplicare sulla sanità fallisci, sulla cultura puoi farlo. Poi bisogna togliere il controllo della cultura dalle mani della politica ed affidarlo alle strutture rappresentative dei cittadini, i lavoratori del settore della cultura, uomini di provata affidabilità e curriculum”.

“Noi operiamo malgrado le difficoltà dell’Italia, la corruzione, finanziamenti che potrebbero essere il quadruplo se i soldi dell’Europa fossero destinati alla cultura. La Francia destina l’1% del Pil, noi siamo allo 0,1%. Ci mettiamo entusiasmo e cuore perchè riteniamo che una  qualsiasi forma di riscatto debba partire dalla periferia e non dal centro”.

“Io credo che abbiamo fatto un lavoro di partenza, una stagione singolare, una buona stagione teatrale. Poi però le cose non si fanno, né si cambiano, dall’oggi al domani. Non è che arrivato Moni Ovadia cambiano automaticamente le cose. Ci siamo messi in gioco e spero di avere dimostrato di non essere qui per il potere, denaro o rendite di posizione. Ho chiesto tre anni e poi me ne vado”.

Per qualcuno era un azzardo rappresentare Le Supplici di Eschilo in parte in greco moderno e in parte in dialetto siciliano, anche traendo spunto dalla tradizione dei cunti siciliani. Un esperimento che ha pagato secondo pubblico e critica. Per Moni Ovadia l’artista è libero di esprimersi e se ne assume le responsabilità. Per capire: Moni Ovadia al funerale di Umberto Eco ha raccontato una storiella ebraica, quella della fetta di pane nero con il burro, una delle innumerevoli che conosce (“Eco ne conosceva molte più di me”, dice) e che per paradossi, nella tradizione Witz che qualcuno traduce semplicisticamente in barzelletta, smonta i pregiudizi.

“Il paradosso permette di uscire dalla perversa logica che fa del principio di contraddizione un arma. O tu o io, o noi o loro. E’ la famosa logica dell’aut aut. L’umorismo ebraico rompe questa logica nella logica dell’et et.. E’ una forma di bagliore proiettato in una contraddizione apparente irrisolvibile, che dimostra che su un piano terzo c’è una soluzione”. Freud ci scrisse un saggio, “Il motto di spirito”, rilevando l’unicità letteraria dell’autoironia della storiella ebraica. E pensare che Ovadia nel 2013 è uscito dalla comunità ebraica di Milano, incapace di mettere in discussione le politiche di occupazione di Israele in Palestina.

Ovadia è cantante, musicista, attore, regista, scrittore e tanto altro. Ma è anche attivista politico per i diritti, per l’ambiente, la difesa della Costituzione, ultimamente un po’ stufo delle liti a sinistra, ma “sempre pronto a scendere in campo per i diritti”. Le Supplici di Eschilo sono anche la prima testimonianza in cui si parla di potere decisionale del popolo. “Sugnu cu sugnu, ma nun cuntu nenti. Cca dicidi la me genti”, fa dire in siciliano Ovadia a re Pelasgo da lui interpretato. L’opera richiama anche l’ attualità, rispetto alla falsa percezione dell’invasione di migranti, alimentata da chi agita spettri di terrorismo. Pelasgo si trovò a operare una scelta di accoglienza, consapevole che dando asilo alle Danaidi ne poteva scaturire una guerra con l’Egitto. Qui gli occhi di Ovadia fiammeggiano.

“I terroristi? con tutti i soldi che hanno vengono con i barconi? Vengono con gli aerei di prima classe. Se io voglio mettere una bomba, vengo con un barcone? Abbiamo percezione di mille cose, però quante volte le percezioni sono sbagliate. La gente che viene, il 99% viene per vivere e lavorare come abbiamo fatto noi. 30 milioni di italiani emigrati in un secolo”.

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