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Referendum “Trivellazioni”. L’onorevole Giuseppe Lauricella (PD): “Molti dicono che votando sì verrebbero subito eliminate le trivelle, non è vero”

Redazione

Referendum “Trivellazioni”. L’onorevole Giuseppe Lauricella (PD): “Molti dicono che votando sì verrebbero subito eliminate le trivelle, non è vero”

Mar, 29/03/2016 - 09:48

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foto-21Riceviamo e pubblichiamo.

Cerchiamo di chiarire cosa riguarda il referendum abrogativo del 17 aprile. Un chiarimento contro chi – scorrettamente – vuol far passare il messaggio che, votando a favore dell’abrogazione, si elimineranno subito le trivelle. Non è così. Nove Regioni hanno richiesto il referendum: i consigli regionali di Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. In sostanza, con il referendum si chiede di abrogare quella norma, inserita con legge nel 2015, che consente agli impianti di trivellazione già esistenti ed operanti di continuare a farlo, oltre la scadenza dei termini della concessione (nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale).

Il quesito referendario non riguarda, invece, le concessioni per estrazioni future vicine alla costa (entro le 12 miglia) perché sono già vietate. Il quesito referendario, dunque, chiede: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”? Dunque, se la norma dovesse essere abrogata le trivelle continuerebbero comunque ad operare fino alla scadenza prevista dalle concessioni: 8 nel 2016, 3 nel 2017, 6 nel 2018, 3 nel 2019, 1 nel 2020, 1 nel 20121, 1 nel 2022, 1 nel 2024 e 6 nel 2026. Se, invece, la norma non dovesse essere abrogata, alla scadenza delle concessioni le società che già gestiscono gli impianti potrebbero chiedere il rinnovo della concessione, qualora il giacimento risultasse ancora utilizzabile.

In questo caso, sarebbe responsabilità dei governi regionali o del governo nazionale (su questo è già aperto un conflitto Stato-regioni), se, ci auguriamo a seguito di approfondite e serie verifiche, rinnovare o meno. Va detto, che in questi anni è plausibile ritenere una riconversione in favore di fonti energetiche alternative, abbandonando quelle di tipo minerale, cui si riferisce il referendum. Anzi, tutti dovremmo incoraggiare e spingere il governo nazionale in favore di una politica di investimento sulle energie alternative.

Perché il referendum sia valido, occorre che vadano a votare almeno il 50%+1 degli elettori. Superata questa soglia di validità si vedrà se prevarranno i “sì” o i “no” all’abrogazione. Quindi, per far valere le ragioni di chi vuole l’abrogazione occorre andare a votare per raggiungere il quorum, altrimenti il referendum non sarà valido.

Per chiarezza: chi vuole che si abroghi la norma, dovrà votare “sì”, ovvero si all’abrogazione; chi voterà “no” significa che non vuole l’abrogazione e lascerà vivere la norma.

Detto questo, non mi pronuncio sul come si debba andare a votare. Ritengo che la scelta debba essere affidata a ciascun cittadino-elettore, avendo, però, chiaro su cosa siamo chiamati a pronunciarci: non sull’eliminazione immediata delle trivelle ma sulla possibilità che la loro attività venga prolungata anche oltre alla data di scadenza delle relative concessioni. Le trivellazioni che attualmente vengono effettuate vicino alle coste italiane – come è noto – riguardano per l’80% estrazione di gas metano (non inquinante) e per il restante 20% petrolio. Un ulteriore tema – che non riguarda il referendum del 17 aprile – è se debbano essere consentite in futuro concessioni per la trivellazione in zone c.d. “Instabili”, anche oltre le 12 miglia dalla costa, che, come dimostrato, per esempio, da ricerche fatte nel canale di Sicilia, rischiano di creare lesioni alla crosta (provocate dalle macchine) con conseguenti fenomeni tellurici che si propagherebbero sulla terraferma (pare sia stata uno di questi “movimenti” – in quel caso, naturali – a provocare il terremoto del Belice). Ma questo è un altro discorso che, speriamo, potrà essere superato da verifiche preventive o dal cambiamento delle politiche energetiche e di ricerca, verso altre fonti.

On. Giuseppe Lauricella

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