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Migranti, memoria corta dell’Europa e dei politici

Redazione

Migranti, memoria corta dell’Europa e dei politici

Ven, 28/08/2015 - 12:20

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I corpi dei profughi ritrovati nelle stive delle navi libiche e nei camion austriaci. Gli accampati di fronte alla stazione centrale di Milano e sugli scogli di Ventimiglia. Le foto del papà siriano che non riesce a trattenere la commozione sbarcando da un gommone sgonfio con in braccio la figlia. L’epopea dei profughi in fuga da Africa e Medio Oriente, tragica e epica insieme, scuote l’Europa dal suo torpore, ogni volta come se fosse una scena mai vista, un unicum della storia, in virtù del quale si dispiegano slanci solidali e allo stesso tempo allarmi xenofobi.

SITUAZIONE COSÌ DA SEMPRE. Eppure, dice Emilio Franzina – docente di Storia contemporanea all’Università di Verona, uno dei massimi esperti italiani di storia delle migrazioni -, «bisogna essere ciechi per non vedere che apolidi, profughi, fuggitivi ci sono sempre stati». Oggi ad abbandonare le loro patrie sono imagei siriani, gli eritrei, gli afgani e gli iracheni. Appena 50 anni fa erano gli abitanti dei Sudeti o gli italiani d’Istria.

250 MILA RIFUGIATI ISTRIANI. «Solo dalla penisola istriana», ricorda Franzina, «arrivarono 250 mila rifugiati: erano italiani abitanti di una terra dove ancora oggi svettano campanili che ricordano San Marco. E oggi proprio all’università di Verona, c’è una targa che li ricorda: i profughi in fuga da Tito si erano accampati dove oggi sorgono biblioteche e aule universitarie».

MEMORIA ACCANTONATA. Che differenza c’è tra la loro condizione e quella di chi fugge dall’Iraq, dall’Afghanistan dove i Paesi occidentali hanno portato un intervento militare, modificato gli equilibri politici, i rapporti tra i gruppi etnici? O dalla Siria dove il regime di Assad perseguita e bombarda metà della popolazione? Nessuna, ma il continente europeo è vecchio e ha poca memoria. «Il dibattito attuale si divide tra razzisti e buonisti, ma tutti, soprattutto chi ha responsabilità politica, hanno accantonato le argomentazioni valide che ci offre la storia» Oltre 15 milioni di europei lasciarono il Vecchio Continente tra il 1945 e il 195.Si potrebbe partire dalle cifre. I migranti arrivati in Europa attraverso il Mediterraneo, stando ai dati Frontex, sono stati 10 mila nel 2010, 70 mila nel 2011, 22 mila nel 2012, 60 mila nel 2013, 218 mila nel 2014, mentre nel 2015 solo la Germania ne attende 800 mila. Anche esagerando a 1,5 milioni la stima per l’anno in corso, si tratta in tutto di meno 2 milioni in 5 anni considerando sia chi si sposta per motivazioni economiche sia i profughi di guerra sensibilmente aumentati negli ultimi due anni. Ebbene, dall’Europa, dice Franzina, tra il 1945 e il 1955 sono partiti in 15 milioni. MIGRAZIONI NON PARAGONABILI. L’ente delle Nazioni unite per i rifugiati ha registrato durante la seconda guerra mondiale 7 milioni di profughi europei e circa 2 milioni dopo il 1947, che comprendono 300 mila rifugiati russi, 150 mila tedeschi e austriaci, 300 mila jugoslavi e un milione e mezzo di dissidenti provenienti da Paesi che hanno subito un cambio di regime. E questo solo per le migrazioni documentate dall’Iro (l’International refugees organization) di Washington, cioè i trasferimenti coatti, forzati, dovuti ai conflitti. L’esodo degli europei alla ricerca semplicemente di un futuro migliore, spiega il professore, «non è neanche paragonabile alle migrazioni attuali». 27 MILIONI DI ITALIANI EMIGRATI. Tra il 1876 e il 1973 27 milioni di italiani lasciarono il nostro Paese, una quantità pari all’intera popolazione italiana registrata nel primo censimento del Regno d’Italia del 1861: partivano da Genova e Napoli per raggiungere i porti di New York, San Paolo, Santos. Tra il 1830 e il 1930, 100 milioni di europei raggiunsero l’America, ma dall’altra parte del mondo gli asiatici facevano lo stesso: «Fu una trasmigrazione oceanica di massa», spiega Franzina, «al punto che fu il business delle migrazioni a far fiorire l’economia dei trasporti tra le due sponde dell’Atlantico». Anche perché, con buona pace dei razzisti odierni, era un mondo in cui paradossalmente muoversi era molto più facile. BRITANNICI, RECORD DI EMIGRATI. Lo sanno bene gli inglesi che oggi in Europa hanno posizioni oltranziste sui migranti: la Gran Bretagna è la nazione che conta il maggior numero di emigrati al mondo in assoluto. Ma anche i tedeschi e gli italiani che colonizzarono il Sud del Brasile, dove oggi si festeggia l’Oktoberfest e sorgono cittadine dai nomi famigliari, nuova Brescia o nuova Padova. Non c’erano gli scafisti, allora, ma i nostri concittadini venivano reclutati dalle associazioni industriali dell’America Latina come la Sociedad de promocion de Sau Paulo, per sostituire gli schiavi nelle piantagioni e nelle miniere. Pagavano loro anche il viaggio, fino a che nel 1902 il governo italiano mise la pratica fuori legge. IL NAUGRAFIO DELL’UTOPIA. Chi parte dall’Africa oggi vaga per un anno, un anno e mezzo nei deserti. Il viaggio dalla Libia alle coste italiane dura 10-12 ore. Chi lasciava il Vecchio Continente nel secolo scorso impiegava anche 40 giorni nella traversata. I naufragi sulle navi, prima a vela e poi a motore, che attraversavano l’oceano erano molto meno frequenti: se ne contano 50 in tutto, secondo Franzina, ma ogni volta morivano centinaia di persone. Nel naufragio del transatlantico Utopia, affondato nel 1891 al largo di Gibilterra, morirono 562 italiani su 880 passeggeri: quel nome tragico e le sue vittime sono state dimenticate. Un transatlantico carico di migranti europei e diretto in Brasile. Catena migratoria, discriminazione, clandestinità: ciò che non è cambiato Le migrazioni ci sono sempre state. E così la paura. «La xenofobia nell’incontro tra popoli diversi è normale», argomenta Franzina. Ma proprio per questo nella storia d’Europa e d’Italia c’è un patrimonio di vicende umane utili a smentire i luoghi comuni di oggi. PARTIVANO SOLO I RICCHI. Chi poteva permettersi di partire per l’America? «Non i più poveri, ma oggi come allora quelli che potevano permettersi il viaggio», aggiunge lo storico italiano, «dal Veneto non partivano i contadini di Rovigo, ma quelli delle province relativamente più ricche come Vicenza o Padova». La discriminazione era anche allora all’ordine del giorno. «Gli italiani meridionali sbarcati a New York erano considerati più vicini ai neri che ai bianchi, in una geografia razziale che li metteva agli ultimi posti tra gli stranieri». PERTINI FACEVA IL MURATORE. Nel nostro passato c’è tutto: i dissidenti politici riparati all’estero e il passaggio illegale delle frontiere. «Abbiamo avuto un presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che fuggì in Francia e per un periodo dovette fare il muratore», ricorda il professore, «o un regista come Pietro Germi che ha raccontato le vicende dell’immigrazione clandestina italiana in Francia». La République, il primo Paese europeo ad avviare politiche di controllo delle nascite, fu per molti anni l’unica nazione europea a offrire opportunità economiche. MOBILI VENDUTI PER IL BIGLIETTO. E Germi ne Il cammino della speranza, premiato a Cannes, racconta di un gruppo di minatori costretti a vendere i mobili e il corredo di casa per pagare 20 mila lire a testa allo ‘scafista’ di allora per valicare lo stesso confine oggi oltrepassato dai nordafricani. Tutto dimenticato. Oggi gli italiani si fanno domande ingenue: si chiedono perché un migrante vuole raggiungere una destinazione piuttosto che un’altra e le risposte sono nelle loro storie familiari. «Non si emigra mai in una terra di nessuno, si va dove c’è l’amico, il parente, il cugino, perché in loro si ha fiducia», puntualizza Franzina. LA MEMORIA CORTA DEI POLITICI. Era così ieri e è così oggi. L’umanità è in qualche modo sempre uguale a se stessa, anche nello sfruttamento delle tensioni dovute al fenomeno migratorio sul mercato politico. Ma per combatterlo serve la memoria. «Abbiamo scritto libri e libri sulla storia delle migrazioni», conclude lo studioso. «Perché i politici non spiegano tutto questo? Se venissero a fare il mio esame li boccerei»

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