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Giovanbattista Tona: “La rumorosa assenza dei figli di Borsellino”

Redazione

Giovanbattista Tona: “La rumorosa assenza dei figli di Borsellino”

Gio, 16/07/2015 - 01:53

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A sinistra, Manfredi Borsellino ("Un calcio alla mafia" - Caltanissetta, luglio 2011)

A sinistra, Manfredi Borsellino (“Un calcio alla mafia” – Caltanissetta, luglio 2011)

CALTANISSETTA – Quante volte Manfredi Borsellino ha partecipato a manifestazioni antimafia? Tutti coloro che hanno organizzato momenti di ricordo di suo padre e lo hanno invitato, hanno ricevuto cortesissime lettere in cui egli spiegava di non potere o di non volere intervenire, alzando una barriera di riservatezza ferma, trasparente e disarmante. Solo chi organizzava una partita di calcio aveva certezza che l’invito sarebbe stato accettato, purché nessuno gli chiedesse di prendere la parola. Rare volte, solo per la particolare qualità istituzionale di alcune autorità intervenute, avevamo visto la presenza dei figli di Borsellino e della sua compianta moglie. Sempre poche parole o incontri in forma privata.
E allora la notizia dov’è?
Sembrerebbe che nulla di nuovo ci sia in ciò che è stato preannunciato per bocca di Lucia e Manfredi dai fratelli Borsellino.
E invece di nuovo c’è proprio il fatto che essi abbiano ritenuto necessario sottolineare questo loro usuale comportamento riservato e offrirlo con una certa energia come punto di partenza per un complessivo ripensamento sul senso dell’antimafia.
Finora il loro defilarsi si limitava ad esprimere uno stile, un modo di essere. Non era una manifestazione di insofferenza né di distanza rispetto alle commemorazioni, viste solo come un altro stile, un altro modo di essere, comunque apprezzabile e meritevole di rispetto.
Ora non più.
Ora la richiesta è precisa. Ognuno faccia le commemorazioni che vuole ma ne spieghi il senso, anzi soprattutto glielo dia e glielo dia in concreto. Perché altrimenti non solo non ci saremo ma sottolineeremo la nostra assenza.
Si è abusato di questa discreta riservatezza e della volontà di questi figli di consentire a chiunque di alzare il vessillo dell’immagine del loro padre, senza rivendicare loro di essere gli unici ad averne il diritto.
Ora il messaggio è chiaro.
Basta. L’antimafia prima si fa e poi si racconta, se possibile con toni asciutti; prima si agisce per onorare Borsellino e poi, se ci si è riusciti, lo si va a commemorare in via D’Amelio o nelle piazze.
È un’antimafia che si preoccupa del rendiconto delle proprie azioni, quella che sembrano invocare i Borsellino con questa nuova visibilità oggi prodotta dalla loro assenza.
Ed esprimono l’insofferenza verso la folla pletorica di antimafiosi di vecchio e di nuovo conio che nel proporre ciascuno i loro meriti, producono un rumore nel quale non si distinguono più le voci che varrebbe davvero la pena ascoltare.
È la denuncia di un mondo in cui tutti dicono di avere fatto il proprio dovere, mentre così non è, perché altrimenti tutto andrebbe molto meglio.
Si è detto che nulla sarà come prima, dopo le parole di Lucia e di Manfredi. Certo è che sullo sfondo di questo dibattito si stagliano due nuove categorie etiche che vanno ben oltre “i buoni” e “i cattivi”: coloro che vogliono davvero capire le cose e agire confrontandosi con esse e coloro che vogliono soprattutto altro. A questi ultimi, solo a questi ultimi, servono le etichette, i proclami e le passerelle.
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