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Cento anni fa nasceva Rosario Assunto, il filosofo dl “giardino” e del diritto alla bellezza

Michele Spena

Cento anni fa nasceva Rosario Assunto, il filosofo dl “giardino” e del diritto alla bellezza

Dom, 29/03/2015 - 03:22

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rosario assuntoCALTANISSETTA – “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori…” cantava così Fabrizio De Andrè in “via del Campo”, regalandoci una metafora delle periferie esistenziali che è rimasta famosa e ricorrente, anche per consolare gli “ultimi” della vita che qualcosa di buono anche da loro può venire.
Cento anni fa, nella Caltanissetta “lontana e sola” in un secolo che ne avrebbe visto il declino, nasceva Rosario Assunto (1915/1994), il filosofo dell’estetica del giardino, iniziatore in Italia dell’estetica del paesaggio, raffinatissimo e colto pensatore, docente di Estetica e di Filosofia nelle università di Roma e di Urbino, autore di decine di libri preziosi dai titoli particolarmente evocativi: Forma e destino (1957), La critica d’arte nel pensiero medioevale (1961), Estetica dell’identità (1962), L’estetica di Kant (1971), Il paesaggio e l’estetica (1973), L’antichità come futuro (1973), Filosofia del giardino (1981), Ontologia e teleologia del giardino (1990), Giardini e rimpatrio (1991), Bellezza come assoluto (1992) tra i più importanti.
La bellezza, l’arte e il giardino come archetipo di civiltà sono stati i temi al centro della sua elaborazione filosofica di pensatore controcorrente, protagonista di un anti-’68 nelle università in cui insegnava, contrastando con soave determinazione il voto politico, l’insegnamento assembleare, gli esami collettivi, guadagnandosi il rispetto di molti leader del Movimento Studentesco che non ne contestarono le decisioni, apprezzandone la coerenza con una visione aristocratica di qualità ma non socialmente selettiva degli studi universitari. E con lui come con pochi altri docenti quegli studenti potevano dialogare sulla letteratura della beat generation, Kerouac e gli altri poeti della contro-cultura.
Appassionato, nella sua mitezza, cultore delle contraddizioni, sereno e curioso nel misurarsi con le differenze che contrastavano con il suo pensiero, come nella lunga amicizia con Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e sindaco di Roma, molto distante dalle sue idee politiche ma interlocutore costante e ricercato.
Nel salotto romano di Elena Croce, (che nel 1956 avrebbe fondato, con altri intellettuali, Italia Nostra), i temi della cultura e della natura trovavano spazi inediti di confronto, in anni in cui era l’economia del “miracolo economico” a monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei maitre à penser, mentre partiva l’attacco speculativo al territorio italiano, urbano, costiero e rurale.
L’uomo in rapporto con la natura nella creazione di un equilibrio magico e possibile tra due soggetti, con sapienza ma senza prevaricazioni: antesignano in questo del pensiero ambientalista, Rosario Assunto; mentre l’estetica italiana metteva invece al centro degli studi la semiotica, le sue opere sulle “forme”, sia artistiche che concettuali, sul linguaggio visuale, venivano tradotte e studiate all’estero con grande successo.
La sua idea dell’estetica del paesaggio come chiave interpretativa di questo equilibrio umanità/natura lo avrebbe portato a prendere posizione, in tempi non sospetti, su alcune grandi questioni di tutela dell’ambiente: contro il ponte sullo stretto di Messina, per esempio, quando tutta la classe dirigente regionale ne faceva un totem della modernizzazione e dello sviluppo, proprio nella sua Sicilia.
field-the_garden_of_edenIl paesaggio nel suo pensiero era stato definito “spazio limitato ma aperto, presenza, e non rappresentazione, dell’infinito nel finito”; così come il giardino, spazio progettato dall’uomo, a somiglianza del primo spazio in cui l’uomo e la donna sono nati, il Gan, il Giardino dell’Eden, progettato e scelto dal Creatore per loro.
“Siciliano di antica educazione e uomo di animo mitemente gentile”, lo aveva definito Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera nel giorno della sua scomparsa: l’educazione “di chi per carattere, per formazione, per cultura rifugge da ogni aggressivita’ e da ogni invadenza. Schivo ma non per impulso di misantropia, poteva e sapeva dimostrare grande cordialita’ e il suo calore, la sua comunicativa affabile nascevano dalla freschezza, trovavano nutrimento nella varieta’ dei suoi interessi.”
Con quell’autenticità silenziosa e riflessiva aveva elaborato il senso della contemplazione della bellezza che l’uomo riesce a rappresentare nel giardino, il kepos della classicità, andando controcorrente negli anni della filosofia dell’azione e poi della cultura del “fare”. Bellezza capace di fare riconquistare all’uomo tecnologico della società globalizzata la sua umanità di essere pensante liberato dalla signoria dell’utile e del produttivo.
L’anticonformismo delle idee impopolari e la coerenza di sostenerle anche nell’isolamento hanno caratterizzato la sua vicenda di intellettuale in controtendenza, che ha portato sul piano della teoria filosofica un’emergenza dell’antropologia contemporanea come il rapporto tra l’uomo e la natura, andando oltre lo scientismo e il neo-idealismo in cui si era formato e proponendo un approccio di spiritualismo esistenzialista ancora inedito nei suoi anni, spiazzante, interrogativo.
Fino a teorizzare il diritto alla bellezza per tutti gli esseri umani, oltre la loro collocazione sociale, patrimonio di tutti da contemplare, senza consumarla. Sottraendola al suo essere lusso per l’ “otium” delle classi privilegiate.
Un uomo di provincia, venuto dalla periferia dell’Italia, dalla piccola Caltanissetta vissuta fino agli anni del Liceo, (il Classico “Ruggero Settimo” in cui si era diplomato brillantemente), è riuscito a porre al centro della riflessione della cultura italiana un tema profetico, anacronisticamente anticipato (come tutti i profeti di nuove idee).
E’ riuscito a farsi ascoltare in tutta Europa, con la sua sobrietà senza clamori, nemica delle spettacolarizzazioni quanto appassionata nei confronti dialettici, con la sua elaborazione che aveva come orizzonte l’intero pianeta, violentato dallo sfruttamento delle risorse ambientali e deturpato dalla sostituzione della bellezza con la speculazione. Pianeta che lui voleva tornasse ad essere lo spazio umanistico in cui l’uomo fa emergere la bellezza dalla natura.
Quella “bellezza che salverà il mondo” che dall’epoca della rivoluzione industriale la sensibilità dei poeti e dei teologi non si è stancata ancora di cercare.

Fiorella Falci

il paesaggio e l'esteticaIL PAESAGGIO COME OPERA D’ARTE E IL MONDO SENZ’ARTE
L’ideale del Paradiso Terrestre, quale modello di un paesaggio in cui gli interventi dell’uomo non siano interventi-per-la-produzione, interventi utilitari, ma siano interventi-per-la-contemplazione, interventi estetico-metafisici, è l’ideale di una completa coincidenza di paesaggio e giardino: tutto il paesaggio come un giardino. (…) Al polo opposto di questo ideale, sta, come sappiamo, la prospettiva di una terra interamente sottratta così al paesaggio come al giardino, una terra dalla quale l’urbanizzazione totale abbia fatto scomparire ogni residuo di paesaggio. (…)
Una terra senza paesaggio, perché interamente urbanizzata ed industrializzata, è anche (non ci dovrebbe esser bisogno di dirlo) una terra senza giardini, giacché l’urbanizzazione totale, la totale industrializzazione non sopportano la destinazione di più o meno ampie porzioni del suolo, sia esso pubblico o privato, alla modellazione della natura come materia d’arte – e cioè a quel non produttivo, e perciò antieconomico, autofinalizzarsi dell’apparenza come oggetto di contemplazione avente valore in se stesso e per se stesso, che è la meta cui aspira chiunque faccia arte. (…) Nella città dell’uomo, quando questi abbia identificata la propria essenza con la fabbrilità, e si sia ridotto alla esclusiva statura del proprio essere faber, non si può fare posto ai giardini, questi luoghi nei quali il fare è fine a se stesso, e non serve.
Visto però che di aria ed erba ed acque e piante e fiori anche l’homo faber, per continuare a produrre con efficienza, in buona salute e senza frustrazioni, continua ad avere bisogno, come del cibo, del sonno, della bevanda, nella città dell’uomo-produttore-assoluto, homo faber, il posto che all’interno della città storica pre-tecnologica era dei giardini, e tutt’intorno ad essa era del paesaggio, viene preso, come abbiamo visto, dagli spazi verdi. Ed è un concetto, questo, di spazi verdi, aree verdi, zone verdi di cui è venuto il momento di inoltrare la confutazione a suo tempo abbozzata, registrando in esso la proposta di surrogare il paesaggio (natura come arte) ed il giardino (arte come natura), con uno strumento utilitario, indifferente al giudizio estetico (…).
Giardino e paesaggio, infatti, sono i due poli, ormai lo sappiamo, di una relazione paritetica e amorosa dell’uomo con la natura, e quindi, essendo l’uomo ragione e natura insieme, di quell’armonia interiore dell’uomo con se stesso e in se stesso (…). Nelle zone verdi, invece, negli spazi verdi, nelle aree verdi (che già nella loro definizione tradiscono uno scadimento della natura e dei suoi colori, delle sue forme, al di qua di quella che abbiamo a suo tempo definita la meta-spazialità del paesaggio, il suo essere più che spazio soltanto: una immagine della temporalità assoluta) il problema di una esteticità in sé autofinalizzata, non si pone più di quanto non si ponga, di solito, nella progettazione delle raffinerie o delle trafilerie, o delle fonderie, degli stabilimenti chimici: accanto ai quali, a distanza più o meno scrupolosamente calcolata, gli spazi verdi sono impiantati (quando ci sono) con funzioni subalterne rispetto alla produttività.
La produttività, infatti, è per il mondo moderno, un surrogato di religione, del quale gli impianti industriali sarebbero i templi e le cattedrali. E la funzione delle aree verdi è quella di promuovere l’efficienza degli uomini-produttori, e quindi di assicurare la continuità e il buon livello della produzione. Una funzione, in definitiva, questa delle aree verdi, che sta alla realtà del paesaggio e del giardino, come all’unione amorosa verace sta l’accoppiamento dei vecchi con le fanciulle pneumatiche (…): nella sua fuga in avanti rispetto alla natura, in quella fuga in avanti (verso il nulla della vita?) che è nei programmi dell’urbanizzazione totale, della industrializzazione totale; e che si traduce, in realtà, in una degradazione dell’uomo, sua riduzione ad un livello meccanico, di qua della natura, e non, come si crede, oltre la natura.
tratto da: ROSARIO ASSUNTO, Il Paesaggio e l’Estetica, Palermo 1994.

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