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Fiorella Falci: “Sergio Mattarella, un Presidente che ci fa onore”

Michele Spena

Fiorella Falci: “Sergio Mattarella, un Presidente che ci fa onore”

Sab, 31/01/2015 - 12:49

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imageCALTANISSETTA – Una vittoria della buona politica. E una rivincita. Un doppio riconoscimento nell’epoca delle “rottamazioni” (spesso di facciata): il cambiamento vero non è questione generazionale,  né anagrafica né politica, ma di coerenza credibile tra pensiero e comportamenti, tra idealità e testimonianza vissuta. E di questa coerenza il Presidente ne ha da vendere, anzi da regalare, come farebbe lui.

Farsi ascoltare senza mai alzare la voce: lo stile comunicativo di Sergio Mattarella  è l’opposto del battutismo pirotecnico del premier Renzi, il “rottamatore” che pure lo ha voluto Presidente della Repubblica con un capolavoro politico che anche i suoi più acerrimi detrattori gli hanno riconosciuto.

E’ il primo siciliano presidente della Repubblica Italiana: professore di Diritto Parlamentare, giudice della Corte Costituzionale, erede di una tradizione cattolica isolana che da Sturzo in poi ebbe l’intelligenza e la forza di battersi contro il separatismo, dopo la seconda guerra mondiale, quando suo padre Bernardo,  impegnato nelle organizzazioni cattoliche sin dai tempi difficili della dittatura fascista (fu uno dei quattro relatori laici al Congresso Regionale Eucaristico, a Caltanissetta, nel 1936), ricominciò a tessere le fila dei popolari siciliani insieme ad Aldisio e ad Alessi, ancora a Caltanissetta, nel primo Congresso democristiano, nel dicembre del 1943.

Lo stile unico  del Presidente, sobrio e con la schiena dritta come dev’essere un uomo di Stato,  non è un atteggiamento mediatico: è una sostanza ontologica di equilibrio, di compostezza, di profondità riflessiva che porta dentro di sé una insospettabile radicalità intransigente sui valori.

Dimostrata in diverse occasioni, nella sua vita pubblica, testimoniata nelle istituzioni con autenticità indiscutibile, leggibile ed insieme rarissima nel suo contesto politico: la Democrazia Cristiana al potere e poi la deriva centrista dei cattolici italiani a cui si sottrasse senza esitazioni, arrivando a definire Buttiglione che voleva dirigerli verso Forza Italia “El general golpista Roquito Buttillone”. Così come “incubo irrazionale” fu la sua definizione dell’ingresso del Partito di Berlusconi nel Partito Popolare Europeo.

Non solo le dimissioni da Ministro, in dissenso contro la Legge Mammì che legittimava il sistema mediatico berlusconiano. Ma soprattutto la direzione  (da Commissario) della Democrazia Cristiana di Palermo nel 1984,  appena eletto in Parlamento,  durante la “primavera”/laboratorio politico  che avrebbe portato Leoluca Orlando alla guida della città con l’appoggio dei comunisti, e la mission   che De Mita gli aveva affidato, di fronteggiare e disinnescare Salvo Lima e la sua corrente politico-mafiosa, subito dopo l’arresto di Ciancimino,  perché sapeva che era l’unico democristiano siciliano affidabile e capace di farlo.

La sua autorevolezza non nasce quindi da un’olimpica estraneità ai conflitti cruenti della politica quotidiana, ma dalla tenacia inflessibile di chi riesce a costruire mediazioni senza lasciarsi contaminare dai compromessi. Tessitore che non trama. Partendo dalla sua capacità di ascoltare e di riconoscere l’interlocutore e per questo di rispettarlo pur mantenendo chiare tutte le differenze; una capacità squisitamente politica, non un tocco di bon ton.

Ultimo moroteo, testimone dell’eredità feconda della tradizione Costituente, con la sua legge elettorale del 1993, capace di coniugare sapientemente maggioritario e proporzionale, bipolarismo  e rappresentanza democratica, ha trasformato in norma giuridica lo spirito di una transizione politica, in quella fase di disfacimento della prima Repubblica, che ancora oggi non si è compiuta. Tanto da far rimpiangere  il suo “mattarellum” dopo i pasticci legislativi (ancora in corso) delle riforme elettorali successive, non a caso bocciate proprio dalla Corte Costituzionale.

Uomo di poche parole, essenziali e portatrici di pensiero, mai un aggettivo di troppo, a volte più eloquente con i silenzi, nel frastuono di una politica spettacolarizzata quanto inefficace. Silenzi indicatori di riflessione profonda, di una distanza olimpica dalla sindrome della presenza mediatica, virus epidemico dei politici di questi anni. Da Berlusconi in poi.

Distanza che nutre una capacità di leggere “in avanti” la politica, come in quell’intervista del 1989 a Pansa in cui spiegava  che “esiste il pericolo che la politica diventi una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. Se la politica non riesce a essere un punto alto di mediazione nell’interesse generale, le istituzioni saltano e prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione”. Profezia di quello che la politica sarebbe diventata, nel mondo globalizzato, e non solo in Italia.

Uno sguardo d’aquila il suo, azzurro di ghiaccio e di cielo, capace di scandagliare le profondità del non detto, se non dell’indicibile, di tanti  interlocutori della sua storia politica. Capace di riconoscere il mistero, e di non averne paura, senza ostentazione.

Stile di vita di rigore monastico, nell’aplomb da  gentiluomo anglosassone, da vero siciliano cittadino del mondo. Un garbo squisito nella conversazione e nelle relazioni, senza ombra di affettazione, tipico degli aristocratici veri. E’ l’aristocrazia, (etimologicamente), della Politica alta, la sua.

“Ma questo è un Papa!” aveva bofonchiato Mirello Crisafulli masticando il suo mezzo toscano al Congresso regionale del PDS, quando Mattarella, segretario regionale dei Popolari, aveva portato un saluto più lucido  e argomentato di una relazione introduttiva, conquistando i delegati ex comunisti descrivendo, quasi sottovoce, come i rami della quercia e dell’ulivo siano quelli che fanno corona alla stella della Repubblica democratica e costituzionale,  e conducendo, sul filo di questa metafora, un ragionamento di apertura e di accoglienza ad una politica siciliana che costruisse l’incontro tra le due grandi tradizioni popolari (la cattolica e la comunista) che avevano dato vita alla Costituzione e alla democrazia nel Paese. (Lontani allora i tempi di Crocetta e dell’UDC!)

Non hanno brillato, prima di lui, i siciliani al vertice dello Stato nella storia dell’Italia unita: Crispi, Di Rudinì, Vittorio Emanuele Orlando, Mario Scelba, per citare solo i Presidenti del Consiglio. Conservatori se non reazionari: stato d’assedio e reazione poliziesca, dalle stragi dei Fasci siciliani di fine ‘800, ordinate da Crispi, alle cannonate di Bava Beccaris  sulla folla di Milano, con Di Rudinì, fino alle cariche di polizia dei celerini di Scelba, passando per la “vittoria mutilata” del presidente Orlando. Figure peraltro quasi mai immuni da back stage compromettenti con il potere mafioso.

Oggi l’Italia ha  un Presidente della Repubblica  siciliano, entrato nella storia e nell’impegno politico della sua vita una mattina di gennaio del 1980, con il maglione macchiato del sangue del fratello Piersanti, morto tra le sue braccia, presidente della Regione ucciso dalla mafia perché aveva voluto cambiare le regole del circuito di potere che alimentava la criminalità nei rapporti con le istituzioni.

Tra i mandanti probabili di quella strage ancora Ciancimino, lo stesso corleonese che negli anni ’50 aveva lavorato per qualche tempo a Roma nella segreteria di suo padre Bernardo (Sottosegretario ai Trasporti) e che Sergio Mattarella si sarebbe battuto per cacciare dalla DC siciliana. Prima ancora di diventare deputato. I due “Kennedy di Palermo” avrebbero dimostrato sul campo come anche in Sicilia una generazione nuova poteva scrivere una pagina diversa, di legalità autentica, limpida, senza  condizionamenti né scheletri negli armadi.

Quel sangue è stato capace di riscattare la dignità di un’intera generazione politica, ed insieme è stato il segno  del  passaggio di un testimone impegnativo nella storia della Sicilia migliore. La Sicilia di Costa, La Torre, Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino e tanti altri martiri della libertà della nostra terra.

Questa terra che fa onore all’Italia. Quando vuole. E che oggi ha un Presidente che le fa onore.

Fiorella    Falci

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