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Le riflessioni di Richelieu: “Prende i soldi e scappa”

Redazione

Le riflessioni di Richelieu: “Prende i soldi e scappa”

Gio, 16/10/2014 - 04:59

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AvernaCALTANISSETTA – Ma a nome di chi parla Francesco Rosario Averna, il Breve, quando pontifica sui giornali che “la classe dirigente è debole, i cittadini facciano sentire la loro voce”? A nome della classe dirigente o a nome dei cittadini?

Lui ha un pedigree bilaterale, da questo punto di vista, essendo stato un imprenditore, e quindi classe dirigente per antonomasia, e anche cittadino “impegnato” (lo ricordiamo in prima fila nelle battaglie per i referendum elettorali di Mario Segni, altro brillante esponente della classe dirigente italiana, brillante come una meteora anche lui).

Sempre “border-line” nella sua parabola: rimosso il  dream-teamin tandem con Piero Di Vincenzo alla guida di Confindustria,(quando era diventato imbarazzante oltre la soglia dei costi-benefici), stava per diventare Presidente della Regione (candidato Presidente) su invito del PDS di Angelo Capodicasa, ma aveva garbatamente declinato l’invito (per fortuna!), preferendo la vicepresidenza nazionale di Confindustria e un discreto posizionamento nei Consigli di Amministrazione delle Banche Siciliane, insieme ad altri componenti della sua famiglia.

Aveva ereditato un’azienda leader nazionale nel settore degli amari, che sotto la direzione manageriale di Franco Pisa aveva sorpassato sul mercato marchi prestigiosissimi e “nordisti” come Cynar  e Ramazzotti.

Industriale ormai di quarta generazione, dal 1868 l’azienda in attività, rappresentava quel capitalismo familiare che è stato la caratteristica storica dell’imprenditoria italiana, e in Sicilia quasi un’anomalia, producendo in un settore, oggi si direbbe dell’agroalimentare di qualità, che non era venuto fuori dal cilindro truccato della Regione imprenditrice del dopoguerra siciliano, e che proprio nella complessità del mercato globale, oggi rappresenta l’eccellenza italiana per qualità ed ecosostenibilità. Non a caso l’Expò 2015 si tiene in Italia, sul tema del cibo di qualità: “nutriamo il pianeta”!

Negli anni del dopoguerra l’Amaro di Caltanissetta aveva girato l’Italia e poi il mondo, inizialmente anche nelle valigie di cartone degli emigrati che lo avevano portato a Torino, a Milano, in Belgio, in Germania, con orgoglio, quasi una bandiera, di una Sicilia del lavoro che si poteva fare onore. Era un brand, tutto siciliano, nell’Italia del miracolo economico,

Oggi dell’onore della dinastia industriale di Magonza non è rimasto un gran che: si sono anticipati il TFR, i quattro titolari della famiglia, e hanno venduto a un marchio concorrente per 103 milioni di euro; e non è gran che nemmeno questa cifra, per chi da imprenditore si identifica con passione vitale come il respiro con il prodotto che porta il suo nome, e lo vuole fare crescere, come una sua creatura.

Ma a questo territorio, in cui nascono ancora le erbe che compongono la ricetta misteriosa dell’Amaro, gli Averna non si può dire che siano stati mai molto legati. Avevano cancellato il nome di Caltanissetta dalle etichette più recenti dell’Amaro, e avevano investito al nord, a Novi Ligure con Pernigotti e in Veneto con Villa Frattina; proprio mentre dal Veneto il re del vino, Zonin, veniva a investire massicciamente in Sicilia comprando migliaia di ettari tra Riesi e Butera per i suoi vini più prestigiosi, e radicandosi nel settore del credito (meglio di un pozzo di petrolio in Sicilia, chissà perché) con Banca Nuova.

Affari loro, si potrebbe dire. Ognuno può disporre delle proprie cose. Magari si potevano preoccupare del personale che rimaneva senza nessuna garanzia, a cui si vuole imporre la deportazione a Modena, o del patrimonio immobiliare dello stabilimento, triste cattedrale nel vallone di Xiboli, ormai svuotato e improduttivo.

Questa volta non è stata colpa di qualcun altro se l’Averna non c’è più. Soltanto ed esclusivamente dei suoi padroni.

Il coraggio, il desiderio, l’onore dell’”intrapresa” economica, uno se non ce l’ha non se lo può dare (avrebbe detto don Abbondio). Ma almeno la dignità del silenzio, il coraggio di sapere uscire di scena senza recriminare! Senza sparare a salve banalità scontate.

Parlino allora soltanto se vogliono comunicare di avere progetti industriali in cantiere, se vogliono ricominciare a produrre, nel nostro territorio, con la nostra gente. E conquistare il mondo, con la qualità. Sapranno essere classe dirigente, in questo caso, e persino cittadini che “fanno sentire la loro voce”.

Ma se non se la sentono ancora, vale per loro il titolo di un film di Woody Allen: “Prendi i soldi e scappa”!

Richelieu Richelieu

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