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Italia Nostra Sicilia, abroghiamo l’’art. 38 dello “Sblocca Italia”

Redazione

Italia Nostra Sicilia, abroghiamo l’’art. 38 dello “Sblocca Italia”

Mar, 14/10/2014 - 13:16

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Incontro al Porto di Licata sulla Rainbow Warrior_10 ottobre 2014“Non è la fine del petrolio, è il tramonto di un’era. La società gerarchizzata, fortemente accentrata nel potere e nelle ricchezze, si sta lentamente sgretolando. E al suo posto comincia a prendere forma un modello a rete, in cui centinaia di milioni di persone producono l’energia che serve alle loro case e alle loro attività. È una rivoluzione sociale, non solo energetica”. Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, commenta con queste eloquenti parole l’annuncio dei giorni scorsi, dei Rockefeller, di uscire dal business delle trivelle.

Di contro, il miraggio di un Texas nostrano, più che l’incubo di un incidente possibile e analogo a quello accaduto nel 2010 alla piattaforma Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, convince il Governo Renzi a considerare “strategiche” le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: diminuendo l’efficacia delle valutazioni ambientali, emarginando le Regioni e forzando sulle norme che avevano dichiarato, dal 2002, off limits l’Alto Adriatico, per il rischio di subsidenza. Pertanto, rivolgendoci ai membri della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, proporremmo l’abrogazione dell”art. 38 del decreto legge n. 133/2014 denominato “Sblocca Italia”.

E comunque, nonostante le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Summit Onu sul cambiamento climatico, in ordine alla necessità di assumere impegni precisi per tenere sotto controllo il riscaldamento globale, l’Italia stenta a definire un programma finalizzato alla de-carbonizzazione. Punto di riferimento delle politiche governative è ancora la SEN, la Strategia Energetica Nazionale, mai sottoposta a Valutazione Ambientale Strategica, nella quale viene presentata una stima di 15 miliardi di euro di investimento e, addirittura, di venticinquemila nuovi posti di lavoro legati al rilancio delle estrazioni degli idrocarburi in Italia.  Dovrebbe essere ben noto a tutti che il nostro petrolio è di modesta quantità e di scarsa qualità. Secondo le valutazioni dello stesso Ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero, nei nostri fondali marini, circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per un tempo assolutamente esiguo, limitato. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena tredici mesi. L’accelerazione indiscriminata impressa dal Governo metta a rischio la Basilicata, che è interessata, in terraferma, da 18 istanze di permessi di ricerca, 11 permessi di ricerca e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio.

Non è esonerato dalla corsa al cosiddetto “oro nero” neanche il mare italiano. In totale, oggi, le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.210 kmq di aree marine, 5000 kmq in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo, dove si concentra più del 25% del traffico petrolifero marittimo mondiale, provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo. In Sicilia, poche settimane fa, diverse amministrazioni locali, capitanate da ANCI Sicilia, insieme a una folta schiera di associazioni ambientaliste e di categoria, tra cui Italia Nostra, Wwf, Legambiente e Greenpeace,  hanno presentato un ricorso congiunto al TAR del Lazio, per contestare il parere positivo dato dal Ministero dell’Ambiente al progetto “Off-shore Ibleo”, proprio al largo della costa tra Gela e Licata. Un passo importante per fermare l’avanzata delle trivelle: per la prima volta, infatti, così tanti e diversi soggetti, ben 13 in totale, si schierano compatti contro progetti di questa natura, dimostrando che solo uniti si può vincere questa battaglia. I progetti in fase di valutazione nel Canale di Sicilia sono molti e il rischio, vista la direzione indicata dal Governo nazionale con lo “Sblocca Italia”, è che in breve tempo il mare siciliano venga letteralmente assaltato dai petrolieri.

Secondo il nostro parere, ci sono almeno sette buone ragioni per proporre l’abrogazione dell’art. 38 del decreto legge n. 133/2014 denominato“Sblocca Italia”. Le disposizioni in esso contenute, infatti, consentono di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture strategiche ad una intera categoria di interventi senza individuare alcuna priorità; trasferiscono d’autorità le Via sulle attività a terra dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente; compiono una forzatura rispetto alle competenze concorrenti tra Stato e Regioni cui al vigente Titolo V della Costituzione; prevedono una concessione unica per ricerca e coltivazione in contrasto con la distinzione tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi del diritto comunitario; applicano impropriamente e erroneamente la Valutazione Ambientale Strategica e la Valutazione di impatto ambientale; trasformano forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico legato alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in ‘progetti sperimentali di coltivazione’; costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità, rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/13/Ue e dalla nuova Direttiva 2014/52/Ue sulla Valutazione di impatto ambientale.

Leandro Janni – Presidente regionale di Italia Nostra Sicilia

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