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Un mito ci lascia, si è spento a 83 anni Vujadin Boskov. Guidò la Sampadoria allo scudetto del 1991

Redazione

Un mito ci lascia, si è spento a 83 anni Vujadin Boskov. Guidò la Sampadoria allo scudetto del 1991

Lun, 28/04/2014 - 12:41

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download (3)«Rigore è quando arbitro fischia». Queste e altre sue perle resteranno nella storia del calcio. La firma è quella di Vujadin Boskov. Il leggendario allenatore è morto a 83 anni (li avrebbe compiuti il prossimo 16 maggio).

Uno degli uomini più istrionici che la storia del calcio ricordi. Ma anche un vincente: portò la Sampdoria alla conquista dello scudetto nel 1991. Un maestro di vita, un mostro d’ironia, tanto simpatico quanto pittoresco, ma anche sarcastico. Irresistibile e inimitabile. La sua competenza mancherà a tanti, in un calcio sempre più frenetico, meccanismo e molto poco umano. Boskov amava sdrammatizzare e, quando ad esempio parlava del fantasista Benito Carbone, ripeteva: «Con sue finte disorienta avversari, ma pure compagni». Celebre anche la sua faccia impietrita quando a Bari, nel bel mezzo di una polemica con Roberto Mancini – ripresa dalle telecamere a bordo campo – esclamò: «Chi ha sbagliato? Pagliuca?», proprio mentre il “Mancio” – da poco sostituito – lo apostrofava, parlando con il compagno Invernizzi. «Grandi squadre fanno grandi giocatori. Grandi giocatori fanno spettacolo e migliore calcio», era un altro aforisma che lo hanno reso immortale, personaggio a ogni latitudine. E che dire di «partita finisce quando arbitro fischia», che tirava fuori quando qualche cronista gli chiedeva un commento su un gol subito oltre il 90’? Il personaggio sfondò presto anche al di fuori dal campo. Di perle ne regalò a bizzeffe negli anni, amplificate dagli sfottò di quei mattacchioni della Gialappa’s (vedi «Gullit è cervo quando esce di foresta» o il povero genoano Perdomo «degno di giocare nel parco di mia villa con mio cane»). Una simpatia istintiva, immediata insomma che lo fece amare non solo dai doriani, ma da tutti i tifosi italiani.

Allenatore molto amato, in Italia come all’estero, il serbo Boskov, prima di guidarla dalla panchina alla conquista dello scudetto, è stato centrocampista della Sampdoria, esordendo in Serie A il 27 agosto 1961 (vittoria per 2-0 a Torino, contro la Juve). Dopo 15 anni, 512 presenze e 20 gol messi a segno nel Vojvodina, dopo 57 partite con la Nazionale jugoslava (dal 24 giugno 1951 al 19 giugno 1958, con due Mondiali e un’Olimpiade), Boskov colleziono’ 13 presenze in Italia, prima di chiudere la carriera nello Young Fellows.

 Ha vinto dappertutto: in Olanda (Den Haag), in Spagna (Real Madrid) e in Italia. Prima di essere chiamato da Paolo Mantovani, nella Sampdoria, si sedette sulla panchina dell’Ascoli (una retrocessione in B e una promozione immediata in A), chiamato da Costantino Rozzi. Due personaggi senza bisogno di autore. Nel 1986 il ritorno a Genova, in una Samp che stava costruendo qualcosa d’importante. Nel 1989, Boskov perse una finale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona e, proprio contro i blaugrana, rimediò un’altra storica beffa, due anni più tardi, a un minuto dai rigori della finale di Champions, quando Ronald Koeman superò Pagliuca con una punizione delle sue, gelando i genovesi che avevano affollato il vecchio Wembley. Un’altra Coppa dei Campioni se l’era vista scippare nel 1981 dal Liverpool, quando allenava il Real Madrid.  Con la Samp, oltre allo scudetto conquistato il 19 maggio 1991, grazie al 3-0 rifilato al Lecce, ha vinto due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe (1989/90, nella stagione dello storico tris italiano in Europa), ma anche la Supercoppa italiana contro la Roma, di cui l’anno dopo occuperà la panchina. Nella capitale allenò una sola stagione (1992-93) ebbe comunque il merito di far esordire in serie A un sedicenne Francesco Totti.  Guidò anche il Napoli e poi tornò nella Samp, prima di chiudere la propria carriera, salvando il Perugia.

I suoi funerali si svolgeranno a Begc, vicino Novi Sad, martedì. Quel giorno forse qualcuno – anche per omaggiare la sua simpatia, forse, rispolverera’ una delle frasi più ottimistiche di “Zio Vuja”: «Dopo pioggia, viene sole». Ma sarà comunque un giorno molto triste per il calcio mondiale, che ha perso uno dei suoi simboli migliori.  (Fonte lastampa.it)

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