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Papa Francesco: “Diamo i conventi chiusi ai rifugiati”

Redazione

Papa Francesco: “Diamo i conventi chiusi ai rifugiati”

Mar, 10/09/2013 - 23:38

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CITTÀ DEL VATICANO – Senza scorta, senza nessuno al seguito, per essere piu’ libero nel chinarsi ancora su chi soffre, per mettersi accanto agli ultimi come un semplice prete, Papa Francesco ha voluto testimoniare il dovere cristiano di “accogliere, servire, difendere” quanti fuggono dalla fame e da indicibili violenze per cercare rifugio nelle nostre citta’.
E trova spesso la porta chiusa. Anche quella di alcuni istituti religiosi che utilizzano le loro case a scopi diversi. “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi; non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”, ha chiesto senza mezzi termini Francesco. Una proposta dirompente, pronunciata nel corso della sua visita al Centro Astalli, il centro di accoglienza dei gesuiti. “Il Signore chiama a vivere con generosita’ e coraggio l’accoglienza nei conventi vuoti”, ha detto testualmente. “Questo – ha scandito – e’ importante e lo dico dal cuore: vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilita’ questo segno dei tempi”. “Il Signore – ha aggiunto – chiama a vivere con piu’ coraggio e generosita’ l’accoglienza nelle comunita’, nelle case, nei conventi vuoti”. “Certo – ha ammesso Francesco – non e’ qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilita’, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di piu’, accogliendo e condividendo con decisione cio’ che la Provvidenza ci ha donato per servire”. ha esortato poi tutti i consacrati a “superare la tentazione della mondanita’ spirituale per essere vicini alle persone semplici e soprattutto agli ultimi”.
E proprio di questa vicinanza ha voluto dare testimonianza nella visita al Centro Astalli, il Centro per l’accoglienza e il servizio ai richiedenti asilo e rifugiati che e’ il corrispondente italiano del “Jesuit Refugee Service” della Compagnia di Gesu’, l’ordine religioso del quale e’ ancora comunque un membro. E cosi’ ha voluto tornare a sentirsi come un semplice religioso che con i suoi confratelli presta soccorso ai piu’ svantaggiati. Niente scorta (il generale Domenico Giani era presente ma senza gendarmi) e niente vescovi e monsignori – dunque – a fargli corona. E nemmeno i segretari, il medico personale e le altre personalita’.
Come vescovo di Roma, poi, ha voluto denunciare che anche nella citta’ simbolo del cristianesimo “tante persone che portano scritto ‘protezione internazionale’ sul loro permesso di soggiorno, sono costrette a vivere in situazioni disagiate, a volte degradanti, senza la possibilita’ di iniziare una vita dignitosa, di pensare a un nuovo futuro”. “Dopo Lampedusa e gli altri luoghi di arrivo, per molte persone la nostra citta’ e’ la seconda tappa. Spesso e’ un viaggio difficile, estenuante, anche violento quello che si e’ affrontato, e penso soprattutto alle donne, alle mamme, che sopportano questo pur di assicurare un futuro ai loro figli e una speranza di vita diversa per se stesse e per la famiglia. Roma dovrebbe essere la citta’ che permette di ritrovare una dimensione umana, di ricominciare a sorridere”, ha rimarcato. “Solidarieta’ e’ una parola che fa paura per il mondo piu’ sviluppato. Cercano di non dirla. E’ quasi una parolaccia per loro. Ma e’ la nostra parola!”, ha poi concluso prima di ringraziare rifugiati e opratori “per l’accoglienza in questa Casa, per la testimonianza, per l’aiuto, grazie per le vostre preghiere, e per il desiderio, la voglia di andare avanti, di lottare e andare avanti”.

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