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Fatti e quotidiani. Il figlio del giudice Gaetano Costa:”La mafia non minaccia, uccide”

Redazione

Fatti e quotidiani. Il figlio del giudice Gaetano Costa:”La mafia non minaccia, uccide”

Dom, 11/08/2013 - 13:58

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«Centri potere in nome dell’antimafia»
La commemorazione del procuratore Costa ucciso nel 1980
L’atto d’accusa del figlio Michele: «Bisogna stare attenti»

Giovedì 08 Agosto 2013
La Sicilia – Cronaca di Caltanissetta pagina 27

«Ormai è in nome della legalità che si cerca di raggiungere i centri di potere. Dobbiamo stare attenti alla mafia dell’antimafia, a quelle persone che si arrogano il diritto di stabilire ciò che è accettabile da quello che non lo è».
Parole durissime quelle che l’avvocato Michele Costa, figlio dell’ex procuratore capo di Palermo Gaetano Costa, originario di Caltanissetta ed ucciso dalla mafia il 6 agosto dell’80 nel capoluogo regionale in via Cavour, ha pronunciato ieri in occasione della commemorazione dell’omicidio del padre, senza risparmiare frecciate ai componenti del settore giustizia ed a chi sostiene di condurre battaglie per la legalità.

«LA MAFIA NON MINACCIA, AGISCE». Un discorso ben diverso dalla solita retorica che spesso caratterizza queste occasioni: «La mafia ha vinto – ha detto l’avv. Costa – perché è riuscita a togliere di mezzo quel nemico che fu mio padre ed a farlo quasi dimenticare. Oggi vengono sbandierate le minacce di morte della mafia, ma guardate che la mafia non ha mai minacciato nessuno, ha agito. Se non si cambia registro è finita, vorrei capire perché non si perseguono per simulazione di reato coloro che millantano di avere subito minacce. Pochi giorni fa ho letto addirittura di due latte di carburante lasciate davanti ad un ufficio e subito si è parlato di intimidazioni mafiose, di spiegamento di forze… ed alla fine si è scoperto che si trattava di carburante lasciato lì da una persona rimasta in panne con l’auto. Bisogna cambiare registro, o è finita».

«SCIACCHITANO CONTESTO’ MIO PADRE, OGGI LO HANNO PROMOSSO». Nel ricordare il padre l’avv. Costa si è commosso, ma non prima di ricordare il clima velenoso e non certo ideale per un magistrato con la schiena dritta negli uffici del Tribunale di Palermo agli inizi degli anni ‘80: «Quando mio padre firmò i mandati, quegli stessi che i suoi sostituti non vollero firmare, contro gli esponenti della mafia palermitana il magistrato Giusto Sciacchitano, parlando con l’avvocato Fileccia, gli disse che i suoi assistiti erano stati vittime di un procuratore che non aveva voluto sentire ragioni. Adesso so che questo magistrato, a cui dovrei rivolgermi per avere giustizia, è stato promosso». Concludendo il suo intervento, celebrato dal pubblico con un lungo applauso, l’avv. Costa – che ha ricordato pure l’assassinio dell’ex capo della Mobile palermitana Ninni Cassarà e dell’agente di scorta Roberto Antiochia uccisi il 6 agosto ‘85, ha detto: «Questa è una manifestazione che a mio padre sarebbe piaciuta, perché voluta da persone che credono nelle stesse cose in cui credeva lui».
Tra i relatori il presidente della Corte d’Appello nissena Salvatore Cardinale, il procuratore generale facente funzioni Antonino Patti, il procuratore aggiunto Lia Sava, il presidente della Corte d’Assise e della sezione Misure di prevenzione del Tribunale Antonio Balsamo, il consigliere di Corte d’Appello Giovanbattista Tona, il presidente dell’Ordine forense nisseno Giuseppe Iacona ed il sacerdote Salvatore Tumminelli, che ha benedetto la corona di alloro deposta davanti l’aula della Corte d’Assise d’Appello al secondo piano del Palagiustizia, dedicata proprio a Gaetano Costa.

«NON AVREBBE MAI PENSATO DI MISCHIARE POLITICA E LAVORO». Gli intervenuti hanno ricordato la figura di Gaetano Costa come un apripista della lotta alla mafia, che per primo decise di mandare in galera esponenti mafiosi con i quali rappresentanti della buona società palermitana, inclusi politici ed imprenditori, facevano affari. Schivo, impegnato, galantuomo i termini con cui è stato ricordato, ma soprattutto l’avv. Iacona ha ricordato che: «Costa aderì in gioventù al partito comunista, si impegnò come partigiano, ma quando diventò magistrato riconsegnò la tessera e mai venne influenzato dalle sue idee politiche nel corso del suo lavoro. Non avrebbe mai pensato di fondare un partito una volta finito il suo percorso di magistrato, o di aderire a un partito mentre era in carica».
Vincenzo Pane

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