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Mafia e appalti pubblici, tre arresti nel Vallone. All’interno il VIDEO

Redazione

Mafia e appalti pubblici, tre arresti nel Vallone. All’interno il VIDEO

Gio, 19/01/2012 - 10:51

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CALTANISSETTA – I carabinieri del Comando Provinciale di Caltanissetta hanno eseguito un decreto di fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di tre presunti esponenti delle cosche mafiose locali. Si tratta di Antonio Calogero Grizzanti, 55 anni, indicato come rappresentante della famiglia mafiosa di Sutera; Salvatore Pirrello, 54, e Ambrogio Vario, 58, ritenuti affiliati alla cosca di Campofranco. L’accusa nei loro confronti è di associazione mafiosa. Le indagini, supportate anche dalle dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia, hanno documentato il loro presunto inserimento nei clan mafiosi del Nisseno e gli interessi illeciti mediante l’infiltrazione negli appalti pubblici, nel settore del movimento terra e delle forniture di materiali per le costruzioni. Il provvedimento si inquadra nella più ampia attività di contrasto condotta nei confronti di Cosa Nostra nissena che nei mesi scorsi, attraverso l’operazione ‘Grande Vallone, ha colpito le strutture di vertice delle famiglie mafiose della provincia.

httpv://youtu.be/wRI1WU5KjMs

IL COMUNICATO DEI CARABINIERI

I Carabinieri del Comando Provinciale di Caltanissetta hanno eseguito un Decreto di Fermo di indiziato di delitto emesso dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 3 persone, ritenute responsabili del reato di Associazione di tipo mafioso. Gli arrestati sono GRIZZANTI Antonio Calogero classe 1956, ritenuto il rappresentante della famiglia mafiosa di Sutera (CL), PIRRELLO Salvatore classe 1957 e VARIO Ambrogio classe 1953, a loro volta affiliati alla famiglia mafiosa di Campofranco (CL). Il provvedimento si inquadra nella più ampia attività di contrasto condotta nei confronti di Cosa Nostra nissena e che, nei mesi scorsi, attraverso l’operazione “Grande Vallone”, ha colpito le strutture di vertice delle famiglie mafiose operanti nell’area del “Vallone”, documentando la composizione organica delle consorterie e gli interessi illeciti coltivati mediante l’infiltrazione negli appalti pubblici, nel mercato del movimento terra e delle forniture di materiali per le costruzioni, nonché nella gestione monopolistica di apparecchiature emacchine da gioco. Nel quadro probatorio sono confluite dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Maurizio CARRUBA, le quali, opportunamente riscontrate dalle indagini del R.O.S. e del Comando Provinciale di Caltanissetta, oltre a fornire circostanziati elementi in ordine al ruolo e alle condotte poste in essere dagli indagati nel corso del tempo, hanno consentito la ricostruzione di rilevanti vicende che hanno interessato il contesto associativo. Univoci elementi di conferma circa la fondatezza di siffatte accuse sono derivati, altresì, dalle propalazioni di Ciro VARA, che ha dettagliato in maniera puntuale le vicende riguardanti gli odierni arrestati, di cui ha avuto contezza nel corso della sua militanza in Cosa Nostra. In particolare, al GRIZZANTI è attribuita la responsabilità di aver rappresentato la famiglia mafiosa di Sutera, la quale, per una prassi invalsa a seguito di una decisione dei vertici provinciali di Cosa Nostra risalente agli anni ‘80, è tenuta a condividere nella misura del 50 % con la famiglia di Campofranco, alla quale è aggregata in ragione dell’esiguità dei propri membri, i proventi estorsivi relativi alle attività che ricadono sul proprio territorio. Proprio in tale veste, sulla scorta delle risultanze emerse, egli ha partecipato personalmente alle più delicate fasi della vita del sodalizio, quale l’importantissima riunione plenaria svoltasi a Serradifalco nel 1994, in cui si ricostituirono gli organi di comando provinciale del sodalizio, e svariati altri incontri destinati a sancire le sorti della famiglia di Campofranco e a dirimere occasionali questioni connesse ad attività estorsive ed esigenze organizzative. Fu proprio il GRIZZANTI, d’altronde, in tempi più recenti, a farsi promotore di un’efficace opera di persuasione che, con il concorde parere di altri membri della famiglia di Campofranco, sulla scorta di una diffusa sfiducia nutrita dai sodali nei confronti di Angelo SCHILLACI, mirava a far recedere quest’ultimo dal proposito di arrogarsi la reggenza della famiglia, consentendo che, nel rispetto della preferenza manifestata da Salvatore TERMINI prima del suo arresto, la carica fosse devoluta a Maurizio CARRUBA. Anche al VARIO e al PIRRELLO è addebitata una partecipazione attiva alle dinamiche interne al sodalizio, sostanziatasi, specie con riferimento al primo, nell’adesione alle riunioni destinate all’attribuzione formale delle cariche o a dirimere controversie afferenti al rispetto delle regole associative. Quanto al PIRRELLO, che, alla stregua delle dichiarazioni rese sul punto, era – rispetto al VARIO – più votato a prendere parte a problematiche criminose spiccatamente operative, il CARRUBA ha precisato che, in epoca immediatamente seguente alla sua nomina a reggente, ebbe a proporne personalmente la riabilitazione, atteso che era stato “posato” da Domenico VACCARO a seguito di una controversia insorta negli anni ’90. Un fatto emblematico della pervasiva attività di controllo del territorio esercitata dalla famiglia mafiosa ebbe a coinvolgere proprio il VARIO allorché, per via di un furto in abitazione da lui subito, essendo risultati vani i tentativi della famiglia di individuare i colpevoli, il reggente della stessa deliberò una ritorsione violenta (incendio dell’autovettura) nei confronti di una persona da poco trasferitasi a vivere in loco, sulla base della sola coincidenza tra il suo arrivo a Campofranco e il furto. La qualità di uomo d’onore, tuttavia, non valse al VARIO la possibilità di sottrarsi a dinamiche di taglieggiamento poste in essere dagli stessi membri del sodalizio, circostanza verificatasi allorché, alla metà degli anni ’90, la ditta del VARIO aveva impiantato un cantiere a Santa Caterina Villarmosa per la realizzazione dei lavori di metanizzazione, presso il quale Lorenzo VACCARO incaricò i fratelli CARRUBA di compiere un atto intimidatorio, con l’intenzione di proporsi poi allo stesso VARIO come intermediario – dunque celandogli le sue responsabilità, ma facendo apparire l’atto come proveniente da altri – e lucrare somme anche da lui. Dalle indagini, altresì, è emerso il profilo di Maurizio CARRUBA tratteggiato dalle dichiarazioni del collaboratore, la cui carriera mafiosa, avviata in qualità di avvicinato alla famiglia per il tramite del fratello, sfociava, dopo la morte di quest’ultimo, nella sua formale affiliazione caldeggiata da TERMINI Salvatore, e raggiungeva infine l’apice con l’attribuzione della carica di reggente della famiglia, esercitata dal 2003-2004 fino al volontario allontanamento nel 2007. Proprio questa funzione di vertice da lui svolta, costituisce un tema di indagine inedito e di assoluto rilievo, che si colloca in assoluta armonia con le autonome risultanze precedentemente acquisite dalla D.D.A.: in primis, la vicenda confluita nel procedimento “Grande Vallone”, che attiene ai flussi di comunicazione epistolare alimentati dalle province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta, ricostruiti sulla base delle lettere intercorse tra Bernardo PROVENZANO e Giuseppe FALSONE (sequestrate nel covo di Montagna del Cavalli) e delle investigazioni compiute dal R.O.S. nei confronti dei vertici provinciali nisseni. Proprio il FALSONE, infatti, dopo l’arresto di Angelo SCHILLACI, intraprese assidui contatti con il CARRUBA, avvalendosi di una pregressa conoscenza, facendone un punto di riferimento per la sviluppo di tematiche di interesse ricadenti nella provincia nissena, circostanza che gli consentì di accreditarsi presso il PROVENZANO quale tramite per la trattazione di siffatti argomenti. L’odierno provvedimento consente, infine, di far luce sulle modalità attraverso cui Angelo SCHILLACI riuscì ad ottenere la carica di rappresentante provinciale; si trattò, infatti, come spiegato dal collaboratore Maurizio CARRUBA, di una sorta di “autopromozione” da parte dello stesso, che scrisse al PROVENZANO chiedendogli il permesso, di fatto, di proseguire nell’opera di Domenico VACCARO, per conto del quale, prima del suo arresto, aveva tenuto i contatti con gli altri esponenti mafiosi, e instaurato dunque rapporti che gli avrebbero ora consentito di assolvere facilmente all’incarico. Nel fornire la propria autorizzazione, il PROVENZANO fu, stando al CARRUBA, piuttosto cauto, dacché condizionò l’assenso alla mancanza di una volontà contraria da parte di esponenti di Cosa Nostra nissena che, ove fosse stata manifestata, avrebbe di fatto invalidato la nomina. Le modalità con le quali lo SCHILLACI ottenne la carica di reggente provinciale servono anche a spiegare le dichiarazioni rese di recente da collaboratori di giustizia un tempo gravitanti, anche con ruoli di spicco, nella famiglia EMMANUELLO di Gela, secondo cui gli esponenti del sodalizio mafioso radicati nella parte sud della provincia (ed in particolare nei mandamenti di Gela e Riesi) non ebbero a riconoscere la leadership dello SCHILLACI e si attivarono, anzi, per intessere alleanze che avrebbero potuto consentire a Daniele EMMANUELLO (all’epoca latitante) di ottenere la formale nomina alla reggenza provinciale.

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